L'arbitrato

L'arbitrato è disciplinato dagli artt. 806-838 quinquies c.p.c.

L'arbitrato costituisce un mezzo alternativo di risoluzione delle controversie, una forma di giustizia privata che si risolve nello stesso tipo di attività che si svolge di fronte ad un giudice dello Stato e che produce i medesimi risultati di quest’ultima, con l’essenziale differenza che il potere decisorio dell’arbitro si fonda su un accordo delle parti, che prende il nome di “convenzione di arbitrato”.

L’art. 806, comma 1, c.p.c., consente alle parti “di far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge”. Sulla natura disponibile o indisponibile del diritto molto si è discusso. Per determinare l’arbitrabilità della controversia, non è rilevante la rinunciabilità o cedibilità del diritto, quanto la sussistenza, rispetto ad esso, dell’autonomia privata delle parti, vale a dire del potere di darsi regole di condotta, che l’ordinamento recepisce e garantisce come vincolanti. Ove non trovi spazio il potere negoziale rispetto alle situazioni soggettive controverse, perciò, non c’è neppure arbitrabilità.

Da questo criterio generale discende, per esempio, la non arbitrabilità di liti su situazioni – riconosciute come indisponibili – tra le quali si annoverano, ad esempio, i diritti personali derivanti dal rapporto di filiazione, dal matrimonio, o le vicende legate alla separazione ed al divorzio.

Gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari, affinché sia sempre possibile una decisione presa a maggioranza semplice.

La convenzione di arbitrato, come atto che in generale devolve la conoscenza delle controversie alla competenza degli arbitri, può realizzarsi all’atto stesso della conclusione di un contratto, con l'inserimento di un’apposita clausola compromissoria o con un atto separato. Dopo l’insorgere della controversia, in assenza di clausole compromissorie anteriori, può comunque concludersi un apposito accordo di arbitrato, detto compromesso. È possibile, peraltro, decidere una controversia con arbitri anche in materia non contrattuale, ai sensi dell’art. 808 bis c.p.c.

L'arbitrato può essere classificato secondo vari criteri.

Una prima importante distinzione si pone, relativamente alle modalità di svolgimento della procedura, tra arbitrato rituale ed irrituale.
Se gli arbitri decidono la controversia regolando il procedimento secondo gli artt. 806 e ss. del c.p.c., ad eccezione dell’art. 808 ter, l’arbitrato è rituale e la statuizione finale, detta lodo, ai sensi dell’art. 824-bis del cpc, ha “gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”, ad esclusione dell’efficacia esecutiva, per la quale è necessario l’exequatur.

Viceversa, l’arbitrato è irrituale o libero, ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c., quando le parti hanno inteso porre gli arbitri nella veste di mandatari per la risoluzione della controversia, mediante un provvedimento di natura contrattuale, sostitutivo della volontà di esse e vincolante nei confronti delle medesime alla stregua di qualsiasi patto negoziale.

Un arbitrato regolato in parte da disposizioni speciali è previsto dalla legge per le controversie societarie.

L'arbitrato viene, altresì, distinto in arbitrato secondo diritto ovvero arbitrato di equità, a seconda che gli arbitri giudichino durante il procedimento secondo le norme sostanziali di un certo ordinamento giuridico ovvero secondo criteri equitativi.

Una ulteriore classificazione può essere operata tra arbitrato ad hoc ed arbitrato amministrato. L’arbitrato ad hoc si ha quando il procedimento è disciplinato dalle parti nella loro convenzione arbitrale (clausola/compromesso), senza il riferimento ad una istituzione arbitrale. Al contrario, si ha arbitrato amministrato quando il procedimento si svolge sotto il controllo di una determinata istituzione, la camera arbitrale, in base ad un regolamento da questa predisposto. Ai sensi dell’art. 2, comma 4, lettera a) della legge n. 580/1993, le Camere di Commercio, singolarmente o in forma associata, possono promuovere la costituzione di Camere Arbitrali «per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti». Le camere arbitrali gestiscono ed organizzano il procedimento in base alle norme contenute nel regolamento arbitrale, predisposto dalle istituzioni medesime, a cui gli arbitri e le parti sono tenuti ad attenersi. Le camere arbitrali amministrano gli arbitrati garantendo il rispetto del principio del contraddittorio e della parità di trattamento delle parti e controllando i tempi e i costi del procedimento.

Ultima modifica
Ven 31 Mag, 2024