Da ormai tre anni la Camera di Commercio presenta il proprio rapporto sull’economia del mare, redatto a cura del Centro studi e servizi, l’azienda speciale della Camera che si occupa tra le altre cose di studi economici.
La Camera di Commercio può contare sul valido contributo di Mauro Schiano, esperto di statistica e ricerca economica e storico dirigente del settore, che ha presentato il rapporto sui dati lo scorso 14 giugno ed al quale abbiamo rivolto alcuni interrogativi sui temi più interessanti.
Quella dell’economia del mare non è una categoria economica “naturale”, ma anzi, una logica diversa di intendere settori economici tradizionalmente considerati separatamente, o in altri sistemi.
Un’innovazione anche nella ricerca, insomma.
Da cosa nasce l’esigenza di uno studio su una categoria “nuova”, come l’economia del mare?
“Si tratta in realtà di un cambiamento metodologico – ha spiegato Mauro Schiano - già dall’inizio degli anni 2000 l’attenzione si è spostata dallo studio dell’attività economica segmento per segmento (per così dire “Istat”) ad uno studio più complessivo, di “sistema”: un cambiamento che ha investito un po’ tutta la ricerca, in grado di restituire una fotografia più viva ed efficace della realtà. Ad esempio, in passato non avremmo mai considerato il noleggio di motorini un’attività turistica o legata al mare, mentre è evidente che, offerta a bordo spiaggia, fa parte a pieno titolo del “sistema economia blu”. E’ questo il motivo che ha portato ad individuare sette filiere, tutte interconnesse tra loro. La seconda motivazione è ovviamente legata al contesto locale, il nostro è un sistema economico variegato nell’agricoltura e nel turismo, ma lo è tanto più nell’economia del mare e può dire molto sulle potenzialità della nostra economia”.
Il macro settore “economia del mare” riunisce quindi 7 filiere, da quella propriamente turistica alla mobilitazione passeggeri e merci, fino alle estrazioni marine, e consente di disegnare una mappa unitaria del composito universo che corrisponde alle economie delle zone costiere italiane; in più, riesce a delineare un “modello” di sviluppo, utile anche per comprendere a fondo le esigenze di questi territori.
Bisogna dire che l’economia del mare è ormai da tempo entrata a far parte delle linee di attività del sistema camerale. Unioncamere conferma la sua attenzione al volto "blu" della nostra economia con una serie di attività, tra cui la realizzazione dei Rapporti nazionali sull’Economia del mare - per metterne in risalto dimensioni e potenzialità al servizio della definizione delle migliori politiche per il suo sviluppo.
Per capire fino in fondo il perché nasca l’esigenza di approfondire questo settore si deve provare a prendere in esame tutte le attività economiche che in qualche modo dipendono dal mare nell’Unione europea: l’economia blu in Europa vale oltre 5 milioni di posti di lavoro e quasi 500 miliardi di euro all’anno in termini di valore aggiunto.
Secondo la Commissione Europea “Una ricerca, un'innovazione e una cooperazione migliori offriranno nuove potenzialità economiche: entro il 2020 l'occupazione nel settore dell'economia blu potrebbe aumentare di 1,6 milioni di posti di lavoro e avrà un valore aggiunto di circa 600 miliardi di euro.
Occorre inoltre tener conto che il 75% del commercio estero dell’Europa e il 37% degli scambi all’interno dell’UE si svolgono via mare. Molte di queste attività si concentrano essenzialmente, ma non esclusivamente, lungo i 68 mila km di coste europee, per quanto anche Paesi/città senza sbocco sul mare ospitano sul loro territorio importanti imprese con attività produttive connesse alla Blue economy.
In sostanza il mare e le coste costituiscono un connubio imprescindibile per lo sviluppo economico, forse uno dei pochi ad avere tracciato di fronte a sé un percorso di costante sviluppo. Porti e comunità costiere sono per loro natura focolai di nuove idee e fonti di ispirazione per l’innovazione.
Ma in che modo si sta evolvendo l’economia del mare in Italia? I dati infatti restituiscono una fotografia chiara del trend del settore che tra il 2011 e il 2017 ha segnato una crescita del 10,5%, contro il -0,3% del resto dell’economia e nel quale i nostri territori rivestono un ruolo leader a livello regionale: il 46,5% delle imprese blu della Toscana infatti risulta insediato nel territorio compreso tra Collesalvetti e Capalbio (il 29,8% a Livorno, 16,7% a Grosseto). Nel 2017 in Italia a muovere l’economia blu sono 200 mila le imprese con 880 mila occupati che producono un valore aggiunto di oltre 45 miliardi di euro, valore calcolato senza tener conto del suo effetto moltiplicatore: infatti, per ogni euro prodotto direttamente dalle imprese dell’economia del mare gli studi realizzati nel tempo da Unioncamere stimano che se ne generi un altro 1,9 per effetto delle relazioni esistenti con il resto dell’economia.
Se in Toscana il tessuto imprenditoriale blu è costituito da 13.641 imprese che nel 2017 hanno originato un valore aggiunto che sfiora i tre miliardi di euro, impiegando oltre 56 mila persone, nelle sole province di Grosseto e Livorno hanno sede 6.339 imprese (di cui 4.061 a Livorno e 2.278 a Grosseto, rispettivamente il 2,1% e l’1,2% del totale nazionale) in cui sono occupate 28.500 persone, un potenziale che ha generato direttamente circa 1,4 mld/€ di valore aggiunto. Il valore aggiunto delle due province arriva poi a sfiorare i 4 miliardi di euro se vengono prese in considerazione anche le attività a monte e a valle per Livorno e Grosseto.
“Nel complesso l’economia del mare, sia a livello nazionale che locale, sfoggia “buona salute” – ha affermato dal presidente Breda durante l’ultima presentazione a Porto Santo Stefano, lo scorso 14 giugno – e mantiene una discreta e diffusa attrattività imprenditoriale”.
Dottor Schiano, ma in che modo sta cambiando l’economia del mare? Che conseguenze potrà comportare per i nostri territori nel futuro?
“E’ un processo di mutamento di tutto il sistema economico, che in generale si sta trasformando sempre più da un sistema economico di produzione ad un sistema di servizi. Abbiamo potuto valutare questo processo nell’economia del mare su un arco temporale di sei anni (2011-2017) e i dati hanno confermato le nostre sensazioni”.
Il settore continua a produrre ricchezza con un cambiamento significativo: la sua capacità di generare valore aggiunto si sposta gradualmente dal semplice sfruttamento della risorsa mare (come con le estrazioni marine) al suo godimento (come ad esempio con i servizi di alloggio e ristorazione e le attività sportive e ricreative), con conseguenze positive per la tutela ambientale e la sostenibilità del settore. Questo significa che l’Economia del mare è una risorsa che genera ricchezza, occupazione e innovazione secondo un modello collaborativo e sostenibile. Il mare unisce settori e tradizioni diverse in un tessuto imprenditoriale diffuso che può essere una leva straordinaria per il rilancio dell’Italia.
“Considero questa trasformazione un aspetto evolutivo del nostro sistema – prosegue Mauro Schiano – che ha saputo dimostrare una forte resilienza rispetto alla crisi economica: nella sua fase peggiore, vissuta dai nostri territori di Grosseto e Livorno tra il 2012 e il 2013, ha reagito positivamente, ma piuttosto che con una tonificazione del processo produttivo, con una crescita del terziario”.
Ma qual è il ritratto dell’impresa blu? Intanto i settori di attività: la maggior parte delle imprese tende a concentrarsi nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione, con pesi diversi a seconda del territorio. Un'altra percentuale consistente di imprese opera nelle attività sportive e ricreative, nella cantieristica, nella movimentazione merci e passeggeri via mare o nella filiera ittica. Soltanto una piccola nicchia di blue enterprises si dedica all’industria delle estrazioni marine o alle attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale.
Grosseto mostra una maggior vocazione per il comparto ittico e per le attività sportive e ricreative, mentre a Livorno risulta accentuato il peso delle attività di movimentazione merci e passeggeri e di alloggio e ristorazione.
Analizzando le singole filiere, in quella ittica ad esempio il calo delle imprese coinvolte si associa (con eccezione di Livorno) ad un incremento della ricchezza prodotta e delle unità di lavoro impiegate. Questo fa pensare che la filiera sia stata interessata da un fenomeno di accorpamento di più imprese in un’unica entità economica, processo che potrebbe aver generato economie di scala da investire in progetti (alla luce anche della crescente domanda di pesce) che hanno consentito l’incremento occupazionale (si veda ad esempio il diffuso incremento degli impianti di acquacoltura e itticoltura).
L’espansione della filiera dei servizi di alloggio e ristorazione è invece molto marcata ovunque, un settore che favorisce l’autoimprenditorialità tanto che la numerosità di impresa cresce a ritmi importanti e superiori rispetto a quelli verificati per valore aggiunto ed occupazione. Da sottolineare l’elevata percentuale di incremento del valore aggiunto di Livorno (+11,4%), decisamente superiore a tutti i contesti di confronto presi in esame.
Questo quadro positivo presenta anche alcuni spunti di riflessione preoccupanti: nell’imprenditoria giovanile – guidate da giovani imprenditori sotto i 30 anni – le diverse attività riconducibili alle filiere blu (si pensi per esempio al mondo della pesca professionale così come quello della cantieristica navale afferente ai lavori di refit delle imbarcazioni a vela) non sembrano manifestare un particolare appeal per le nuove generazioni nonostante le potenzialità imprenditoriali ed economiche: siamo quindi probabilmente di fronte ad un problema di staffetta generazionale. In generale l’impatto dell’imprenditoria giovanile blu su quella blu totale nell’area Maremma-Tirreno si presenta inferiore sia alla media regionale (7,2%) sia alla media nazionale (9,8%).
Nel rapporto sembra emergere una mancata “staffetta generazionale”. Quale può essere il motivo e quali gli interventi necessari?
“Anche in questo caso si tratta di un processo che ha investito l’economia nel suo complesso. Il progressivo invecchiamento della popolazione manifesta i suoi effetti anche nel sistema imprenditoriale: se invecchia la popolazione lo fanno anche le imprese. Qualcuna impresa giovanile nasce ma solo nel terziario, sempre meno nei settori tradizionali come l’ittica o la cantieristica. Il problema va affrontato con un impulso nuovo a tutto il sistema: sarebbe utile pensare ad incentivare le giovani imprese con un piano generale simile a quello realizzato per le imprese giovanili in agricoltura. Le attività di questo settore hanno un costo elevato, e se non si danno mezzi economici ai nostri giovani per partire, difficilmente avremo nuove imprese in futuro“.